4 febbraio 2018:
il Piccolo Gruppo di Cristo ospita
Mons. Luigi Stucchi
presso la propria sede di Desio.
Occasione dell’incontro un approfondimento
del libro “Per la vita, sempre”.
La mattina della Giornata della Vita (coincidenza fortemente voluta) è stata occasione di un ritrovo particolarmente significativo, iniziato con la Santa Messa e proseguito nella sala degli incontri della sede di Desio, dove il Responsabile Generale Giancarlo Bassanini ha introdotto l’amico Mons. Stucchi e invitato Mauro Panzeri e Alberto Cattaneo a gestire il dialogo con l’autore del libro.
Dopo che Mauro ha contestualizzato il periodo a cui si riferisce il volume, Alberto ha rivolto a don Luigi (da tutti chiamato affettuosamente così) una serie di domande che hanno stimolato le riflessioni del sacerdote. Ne presentiamo qui alcuni spunti che ci sembrano particolarmente significativi.
Alberto inizia riferendosi all’art. di pag. 37 (che parte dalla sproporzione esistente tra il modo con cui si trattano gli animali e gli uomini, per arrivare a comprendere come l’uomo sia escluso, maltrattato e subordinato ad altri interessi, reso strumento invece che amato), e chiede all’autore dov’è Abele, dove sono gli indifesi oggi?
Don Luigi non esita nel rispondere: un Caino apparentemente improvvisato può sempre spuntare, oggi, perché si trovano sempre degli Abele da schiacciare, ferire, soverchiare. In teoria non esiste il diritto di uccidere ma la legge 194/78 e il successivo referendum l’hanno creato e inserito nella nostra legislazione proprio sui più indifesi di oggi, i bambini non ancora nati. E, purtroppo, il passare degli anni sta creando assuefazione a questo diritto improprio. Per respingere questa assuefazione occorre basarsi e sottolineare fortemente il fondamento di tutto che è il DIRITTO ALLA VITA, e prima di tutto alla vita dei più deboli e indifesi.
Alberto passa poi alla pag. 26 del libro, richiamando un articolo in ricordo del centenario del settimanale (“sì alla vita: frontiera di umanità”): … È stata, la vita, come l’ultima frontiera di umanità per una società che, avendo esasperato in modo individualistico la libertà, ha smarrito il significato della vita e il rispetto del diritto alla vita…; ma è divenuta anche una sfida sociale e politica ad un tempo, ancor più difficile da affrontare oggi.
Don Luigi è chiaro anche qui: possiamo superare questa sfida solo tornando a pensare con la sana ragione, tornando a pensare con la verità dei fatti. Occorre un grande sforzo culturale e operativo per TORNARE ALLA REALTÀ DELLA VITA E ALLA SUA INVIOLABILITÀ. Tornare all’origine, alla realtà, con la forza della testimonianza. Con il coraggio dimostrato, per citare un esempio vicino, da Teresio Olivelli, beatificato proprio ieri (3 febbraio) a Vigevano (dove frequentò il liceo), ufficiale degli Alpini morto in campo di sterminio in Germania all’inizio del 1945, massacrato a calci e bastonate per il suo atteggiamento cristiano di continuo aiuto e conforto agli altri prigionieri, dopo aver deciso di partecipare ventisettenne alla guerra per non voler lasciare che vi andassero solo i ragazzi delle classi sociali più umili.
Si chiede quindi don Luigi: come abbiamo potuto perdere la ragione davanti a casi estremi come i LAGER? come abbiamo potuto perdere la ragione davanti alla VITA NASCENTE?
Alberto, affronta allora il capitolo “Il senso della vita”, ricordando l’amico Gianni Micheli (in stato di incoscienza da 11 anni) in una recente testimonianza della moglie Anna, e avviando una riflessione sull’evoluzione legislativa iniziata con le leggi su divorzio e aborto per sfociare recentemente nel fine vita con la legge sulle DAT (Disposizioni Anticipate di Trattamento). Di fronte a queste trasformazioni, si chiede come esse si innestino nella nostra vita.
Don Luigi raccoglie il tema del malato grave indicando che le vere risposte a questi casi non arrivano dall’interruzione della vita, bensì la CAPACITÀ DI RELAZIONE con chi vive un problema così grave, la CAPACITÀ DI AMARE la persona che si ha vicino e che soffre ma non vuole morire, ha invece bisogno di avere vicino una persona che lo guarda, lo tiene per mano, gli fa sentire il proprio affetto; ha bisogno di una PRESENZA NON ANONIMA, magari incapace di guarirlo ma che continua a volergli bene.
Occorre quindi saper ricostruire i legami fondamentali, riportarli al centro, creare consenso su di essi, seminare, diffondendo una cultura sul senso della vita, sviluppare un clima sociale e culturale sulla base dei quali sia possibile dare un vero senso alla vita.
Con la quarta domanda, Alberto passa all’orizzonte socio-politico, richiamato dal capitolo delle tragedie umane: lo fa sottolineando come tanti articoli, dalla morte di Aldo Moro all’ICMESA di Seveso, agli editoriali sulla dignità del lavoro, richiamino l’importanza della dignità della persona, basata su una fede incarnata.
Il filo conduttore che lega tutti questi elementi alla dignità della persona, anche dentro i problemi che nascono nel tessuto sociale, dentro le tragedie, nel mondo del lavoro, IL CARDINE DI TUTTO PER DON LUIGI RESTA LA VITA NASCENTE.
C’è una logica al contempo implicita ed esplicita che lega tutto il senso della vita umana, dal concepimento al suo termine naturale, una logica che si rovescia e diviene negativa nel momento in cui si nega il diritto alla vita del concepito, perché questo è l’anello iniziale di tutta una catena che attraversa gli aspetti sociali e il mondo del lavoro per arrivare al fine vita, tutti diretta conseguenza del fondamento della nostra esistenza: l’inviolabilità della vita umana in ogni suo aspetto.
A questo punto Alberto passa al capitolo dedicato alla famiglia, chiedendo all’autore del libro se la crisi che stiamo vivendo, tanto capillarmente diffusa nella nostra società, sia insita nella famiglia stessa oppure dentro di ciascuno di noi.
La risposta di don Luigi è immediata: siamo di fronte ad un errore di impostazione dell’OPERA EDUCATIVA, presente a livello giovanile ma che si estende a tutta l’esistenza umana. Essendone venuti a mancare i limiti, viene a cadere il percorso formativo delle giovani coppie, diviene persino impossibile educare un bambino con semplice sì o no. Non c’è più nulla che interpreti in modo vero l’umano come il Vangelo, con il suo “il vostro parlare sia sì sì, no no” (Mt 5, 37). Ci troviamo su un piano inclinato (ricordato a pag. 215 del libro, in un editoriale del 1 dicembre 1978) che può divenire irreversibile se non riusciamo a trasmettere la coscienza di questo errore educativo. Anche in questo caso, per farlo occorre STARE VICINI, CREARE RELAZIONI e testimoniare con il nostro esempio concreto.
La penultima domanda di Alberto nasce dall’interrogativo di pag. 99 del libro: perché il cristiano scompare? E se questa era la domanda del 1974, cosa possiamo dire oggi, a oltre quarant’anni di distanza,?
Qui don Luigi ha voluto lanciare una provocazione ai partecipanti: provi a rispondere ciascuno di noi, a partire dalla propria esperienza. Tu com’eri? Come ti sei trasformato? PERCHÉ TI SEI MESSO IN GIOCO PER QUALCOSA O PER QUALCUNO CHE NEMMENO CONOSCEVI? Se cogli questo, puoi capire come fare perché il cristiano non scompaia. Quindi don Luigi ricorda che una risposta a questa domanda venne dal Card. Angelo Scola, che la indicò nella FRATTURA TRA FEDE E VITA: se esiste questa rottura, ci si lascia trascinare senza più essere consapevoli della necessità di MANTENERE UN COLLEGAMENTO TRA VITA E VANGELO, si dimentica che la vita va vissuta proprio alla luce del Vangelo. Oggi invece viviamo nel RELATIVISMO, spinto ed esteso a tutte le componenti della vita. Contro di esso dobbiamo riscoprire la logica del PER SEMPRE. Solo allora io riesco a capire chi sono, magari sbaglio ma ciò mi induce a rimettermi in gioco, a riprovare, a correggermi.
Alberto si collega allora a questa risposta per sottolineare come il “per sempre” valga nella famiglia ma anche nella vita consacrata. E per il Piccolo Gruppo di Cristo, nel quale si riconoscono i presenti all’incontro?
Secondo don Luigi, la risposta si può trovare in tanti incontri di approfondimento già vissuti dal Piccolo Gruppo, incontri nei quali è sempre stato presente un RESPIRO UNITARIO TRA LA VIRTÙ E L’APPARTENENZA AL SIGNORE. La vita consacrata ha, per sua stessa natura, la grande missione di anticipare nella vita ciò che si avvererà al momento del passaggio nell’aldilà. Una vita che si consacra interamente al Signore porta in sé il segno e la testimonianza del dire, in modo radicalmente nuovo, ciò che saremo, come saremo. E per trasmettere questo segno occorre DIFFONDERE UNA GRANDE GIOIA intorno a noi, con la nostra vita.
E su questa grande gioia, con un applauso finale all’autore del libro, si è concluso un incontro vissuto da tutti con grande attenzione e partecipazione, mentre don Luigi ricordava la sua personale soddisfazione per l’opportunità fornita da questo ripetuto ritrovarsi a presentare il libro “Per la vita, sempre”: momenti che gli si sono rivelati ricchi di diversità e di arricchimento con tante persone diverse, per estrazione e formazione. Così il “grazie” è diventato reciproco tra tutti i presenti.